Da due anni incontro regolarmente persone omosessuali, libero da preconcetti di ogni tipo.
Ho voluto, soprattutto, incontrare delle “persone” togliendo loro di dosso un'etichetta, per offrire loro un appoggio morale, umano. L'ho fatto nella consapevolezza di prete che tutti i giorni celebra il “prendete e mangiate: questo è il mio corpo dato per voi... Questo è il mio sangue sparso per voi”, lontanissimo dal pensiero che Gesù Cristo le abbia escluse dal suo dono/sacrificio di salvezza. Ho incontrato persone avvilite per uno stereotipo che ha dato vita ad un pregiudizio umano che le ha emarginate e giudicate in maniera becera, per una chiesa che le viviseziona come cavie da studiare (parla di malattia, terapia e guarigione) e non le vede come figlie e figli di Dio, alla stregua di tutti. Certo, condanno l'immoralità di chi gioca sulla e con la sessualità, ma chiedo attenzione e comprensione per chi si trova in una situazione naturale che comporta la diversità. Sappiamo tutte e tutti che gli studi sull'omosessualità sono tutt'altro che conclusi e, anzi, sono in espansione verso scenari sempre nuovi, quelli aperti di continuo dalle scienze. Non è di mia competenza né una valutazione medico-psicologica, né politica. Mi stanno a cuore lesbiche e gay che vivono la loro natura con un'onestà che è consequenziale alla loro identità personale. Queste persone, prima ancora di temere con preoccupazione chi, da estraneo, le giudica, sono alle volte contagiate da una vergogna che le attraversa e della quale poche di loro si sono liberate. Quando, 2 anni fa, dalla parrocchia (era imminente il gay pride), ho chiesto a due omosessuali credenti di fare una testimonianza, al fine di conoscere e capire, ancora non sapevo che avrei amato queste persone, che vivono ai margini di una società che non ne riconosce i diritti civili garantiti dalla costituzione al resto della popolazione italiana. Il gruppo si è, nel frattempo, ingrandito ed è ora punto d'incontro di persone alla ricerca di una spiritualità che porti serenità e fiducia. Dopo lo sconcerto provato per un terribile abbinamento, quello di omosessualità e pedofilia, ci mancava pure la definizione dell'omosessualità come malattia: non sarebbe il caso di lasciare ai laici professionalmente qualificati il compito di ricercare e dibattere i problemi che non corrono solo su una linea di moralità, ma anche di umanità? Non mi preoccupa l'omosessualità di una persona, mi sta a cuore la qualità della sua vita. E quando medito su quel “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi...” forse, nel mio piccolo, come credente prima ancora che come prete, mi sento chiamato in causa.
Ho voluto, soprattutto, incontrare delle “persone” togliendo loro di dosso un'etichetta, per offrire loro un appoggio morale, umano. L'ho fatto nella consapevolezza di prete che tutti i giorni celebra il “prendete e mangiate: questo è il mio corpo dato per voi... Questo è il mio sangue sparso per voi”, lontanissimo dal pensiero che Gesù Cristo le abbia escluse dal suo dono/sacrificio di salvezza. Ho incontrato persone avvilite per uno stereotipo che ha dato vita ad un pregiudizio umano che le ha emarginate e giudicate in maniera becera, per una chiesa che le viviseziona come cavie da studiare (parla di malattia, terapia e guarigione) e non le vede come figlie e figli di Dio, alla stregua di tutti. Certo, condanno l'immoralità di chi gioca sulla e con la sessualità, ma chiedo attenzione e comprensione per chi si trova in una situazione naturale che comporta la diversità. Sappiamo tutte e tutti che gli studi sull'omosessualità sono tutt'altro che conclusi e, anzi, sono in espansione verso scenari sempre nuovi, quelli aperti di continuo dalle scienze. Non è di mia competenza né una valutazione medico-psicologica, né politica. Mi stanno a cuore lesbiche e gay che vivono la loro natura con un'onestà che è consequenziale alla loro identità personale. Queste persone, prima ancora di temere con preoccupazione chi, da estraneo, le giudica, sono alle volte contagiate da una vergogna che le attraversa e della quale poche di loro si sono liberate. Quando, 2 anni fa, dalla parrocchia (era imminente il gay pride), ho chiesto a due omosessuali credenti di fare una testimonianza, al fine di conoscere e capire, ancora non sapevo che avrei amato queste persone, che vivono ai margini di una società che non ne riconosce i diritti civili garantiti dalla costituzione al resto della popolazione italiana. Il gruppo si è, nel frattempo, ingrandito ed è ora punto d'incontro di persone alla ricerca di una spiritualità che porti serenità e fiducia. Dopo lo sconcerto provato per un terribile abbinamento, quello di omosessualità e pedofilia, ci mancava pure la definizione dell'omosessualità come malattia: non sarebbe il caso di lasciare ai laici professionalmente qualificati il compito di ricercare e dibattere i problemi che non corrono solo su una linea di moralità, ma anche di umanità? Non mi preoccupa l'omosessualità di una persona, mi sta a cuore la qualità della sua vita. E quando medito su quel “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi...” forse, nel mio piccolo, come credente prima ancora che come prete, mi sento chiamato in causa.
Don Piero