Foto di Lidia Borghi |
Genova, 19 giugno 2011. La serata è ventosa. Il bel tempo ha attirato centinaia di persone, genovesi e non, al Suq, l'annuale rassegna cittadina dedicata alla cultura multietnica che si tiene sotto il tendone delle feste del Porto Antico.
Intorno alle ventuno arriva don Andrea Gallo, il prete di strada amico di prostitute e transessuali, di ex detenute e detenuti e di tossicodipendenti, di lesbiche, gay e transgender. Invitato dall'organizzatrice del Suq, Carla Peirolero, don Gallo è accompagnato da Loris Mazzetti, co-autore di trasmissioni cult della terza rete Rai come Vieni via con me, Che tempo che fa, Parla con me – per citare solo le più note – e da Umberto La Rocca che, da due anni, dirige il più importante quotidiano di Genova, Il Secolo XIX.
Ho dato un titolo al dibattito che ha visto Mazzetti e La Rocca fare poche, incisive domande al nostro prete di strada, sempre in mezzo agli ultimi, come il suo amico fraterno, Fabrizio De André, il quale agli ultimi ha dedicato alcune fra le più belle canzoni italiane di tutti i tempi: Osare la speranza.
Che cosa significa, per il prete degli ultimi, osare la speranza? Significa dire una volta per tutte, in modo chiaro e tondo, che il primato della coscienza personale è dottrina certa, di fronte a Dio, perché solo presso di Lui c'è la Verità. Oltre la chiesa cattolica ed i suoi continui tentativi di affossare le coscienze in nome di un magistero che non parla secondo l'evangelico messaggio d'amore.
Le sue parole sono spesso concitate, tali e tanti sono gli argomenti che tratta, pressanti per la società civile delle donne e degli uomini di buona volontà: la sperequazione economica, l'esclusione dalla vita sociale delle persone reiette – gli ultimi di De André – il mancato riconoscimento dei diritti civili alle persone lesbiche, gay, transessuali e transgender. Manca, nel nostro Paese, aggiunge don Gallo, una vera giustizia sociale, quella di cui è intrisa l'intera opera del cantautore genovese – l'antologia dell'amore di Faber – come lo chiama il nostro prete di strada.
Occorre lottare contro l'indifferenza, l'ottavo vizio capitale per don Gallo, affinché si possa ricominciare a parlare in modo serio di giustizia sociale. E di pace che, secondo il “prete da marciapiede”, come lui stesso si definisce, è la radice dell'umanità.
Migranti, emarginate ed emarginati, diverse e diversi: “dimmi chi escludi e ti dirò chi sei!” Così si esprime don Andrea e le persone presenti esultano ed applaudono a più non posso. Applausi a scena aperta, come a teatro. Le sue parole hanno la consistenza ed il peso delle pietre, quelle stesse che vengono lanciate contro ragazze e ragazzi omosessuali, nei Paesi islamici, nei quali l'orientamento omosessuale è considerato un peccato punito con la morte a seguito di lapidazione. E sono le stesse pietre che, a mo' di tanti fardelli, si portano appresso tante donne e tanti uomini cattolici omosessuali che, in Italia, continuano a farsi del male, pensando di non essere degne e degni dell'Amore di Dio, per il solo fatto che le Sacre Scritture condannerebbero i rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso.
Quando il dibattito giunge al termine sono le ventitré passate e don Andrea è seduto in un angolo del palco, sotto il tendone, a firmare i suoi libri acquistati da molte persone presso lo stand della sua comunità, quella di San Benedetto al porto di Genova. Una volta che la folla si è diradata, mi avvicino a lui, insieme alla mia compagna Laura, per salutarlo e stringergli la mano. La sua accoglienza è, come sempre, affettuosa. Don Gallo bacia tutte le persone che può, soprattutto quelle più sofferenti o emarginate ma, questa volta, a Laura e me tocca il compito di aiutarlo ad issarsi da una scomoda sedia. È stanco e, prima di poter riposare le membra, dovranno passare ancora alcune ore, durante le quali visiterà i colorati stand delle nazioni ospiti del Suq: Cuba, Ghana, Indonesia, Marocco, Tunisia, Zambia, India, Israele.
E così, mentre si torna nel cuore del Centro Storico, penso con soddisfazione che mi sto portando a casa l'ennesima lezione di vita tenuta da un umile diacono che ha messo il messaggio evangelico al servizio degli ultimi, incurante dei numerosi richiami dei vertici di una chiesa cattolica che ha tracciato un solco incolmabile fra sé e la sua base.
Lidia Borghi