Articolo pubblicato sul giornale Avvenire del 23 Maggio 2020, pag.18
Accoglienza e integrazione nella comunità delle persone omosessuali la sfida per una pastorale inclusiva. Pubblichiamo ampi stralci della prefazione-intervista del cardinale Matteo Maria Zuppi,arcivescovo di Bologna, al libro di Luciano Moia, “Chiesa e omosessualità. Un’inchiesta alla luce del magistero di papa Francesco” (San Paolo), da oggi in libreria.
In Amoris laetitia, papa Francesco ribadisce la necessità di accompagnare le persone omosessuali “a realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”. Un invito un po’ disatteso nella nostra comunità. Come si può cambiare strada?
Papa Francesco in Amoris laetitia, e successivamente il Sinodo dei Giovani nel Documento finale, sintesi molto equilibrata ed esigente, invita i sacerdoti, e tutti quelli che seguono pastoralmente le persone, ad accompagnare tutti quanti a conoscere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita. Se leggiamo tutta l’Esortazione, e in particolare il cap. 8, ci rendiamo conto che questo invito è per tutti, non solo per le persone omosessuali.
Il Papa, e la Chiesa con lui, non è interessato a portare le persone ad osservare delle regole esteriori, per quanto buone in sé e opportune. Il suo interesse è di aiutare le persone a fare la volontà di Dio; cioè entrare in relazione personale con Dio, e da Lui ascoltare la Parola opportuna per la vita di ciascuno. Infatti, ciascuna persona potrà realizzare questa Parola di Dio – unica per tutti – nella pienezza che le è propria; quella pienezza possibile iscritta nella propria natura e soprattutto nella propria storia.
Quella di Dio, infatti, è una Volontà incarnata nella storia della persona, è la Sua volontà che compie la nostra. Non dobbiamo quindi relativizzare la legge, ma renderla relativa alla persona concreta, con le sue specificità. La pienezza della volontà di Dio per una persona non è la stessa per altre. Ciò che è veramente disatteso dalle nostre comunità, in fondo, è l’ascolto profondo della persona nelle sue situazioni di vita; non guardiamo la persona come la guarda Dio, in modo unico, e per questo non siamo capaci di accompagnare le persone a trovare la propria e originale pienezza di relazione con Lui.
Quando nelle nostre comunità cominceremo davvero a guardare le persone come le guarda Dio, allora anche le persone omosessuali – e tutti gli altri – cominceranno a sentirsi, naturalmente, parte della comunità ecclesiale, in cammino.
Più opportuna una “pastorale specifica” con il rischio di ghettizzare ancora di più persone che già sono rimaste a lungo sulla soglia, o un tentativo di piena integrazione nelle proposte ordinarie, con tutti i rischi relativi?
No, non c’è bisogno di una pastorale specifica. C’è bisogno di uno specifico sguardo sulle persone; su ogni persona prima delle categorie. Dobbiamo fare attenzione a non definire le persone a partire da una loro caratteristica – per quanto profondamente legata alla loro identità – ma dobbiamo guardare la persona in quanto tale; e come cristiani la dobbiamo guardare come figlia di Dio, nel pieno diritto, cioè, di ricevere, sentire, e vivere l’amore di Dio come ciascun altro figlio di Dio.
La pastorale deve fare questo e solo questo. Unica, unitaria deve essere la pastorale della comunità cristiana; essa deve aiutare le persone a vivere da figli di Dio in un’unica famiglia dove ciascuno è simile ma diverso; dove la diversità di ognuno è un dono per la ricchezza della comunità, dove si vive la vera vocazione della nostra vita che è essere suoi, santi.
Quali sono i rischi di un’integrazione di tutti – persone omosessuali comprese – nella pastorale ordinaria? Sono forse maggiori dei rischi che una famiglia corre nel cercare di integrare creativamente le particolari diversità (a volte molto “particolari”) di ciascun figlio? La vita della comunità e della famiglia è dinamica, spesso conflittuale; ma come si può esercitare la carità, l’amore di Dio, se non viene messo alla prova anche dalla conflittualità?
Accogliere, discernere, integrare. Dovrebbe valere anche per le coppie omosessuali che cercano sinceramente Dio. Ma c’è chi ha fatto notare che accoglienza e integrazione non sono possibili senza prendere le distanze da quello stile di vita. Cosa dire al riguardo? È possibile allo stesso tempo accogliere e non discriminare, cioè accogliere la persona ma non il suo orientamento?
Attenzione: la dottrina della Chiesa distingue tra orientamento e atti; ciò che non possiamo “accogliere” è il peccato espresso da un atto. L’orientamento sessuale – che nessuno “sceglie” – non è necessariamente un atto. Inoltre, esso non è separabile dall’identità della persona; accogliendo la persona non possiamo prescindere dal suo orientamento. Ma anche nel caso in cui una persona conduca uno stile di vita contrario alla legge di Dio, non dovremmo accoglierla? Cosa vuol dire accogliere? Vuol dire forse giustificare?
Se Gesù avesse avuto questo criterio, prima di entrare nella casa di Zaccheo avrebbe preteso la sua conversione. Prima di accompagnare la Samaritana all’adorazione di Dio in Spirito e Verità le avrebbe chiesto di regolarizzare la sua situazione matrimoniale… Gesù si è comportato così?
LE SFIDE DELLA PASTORALE: Fede e omosessualità, esperti a confronto
Tra l’ottobre 2018 e il settembre 2019 il nostro mensile “Noi famiglia & vita” ha pubblicato una serie di interviste, curate da Luciano Moia, a esperti di pastorale, teologi, psichiatri, psicoterapeuti, studiosi di scienze umane con l’obiettivo di capire come e se la Chiesa italiana avesse recepito la sollecitazione di papa Francesco in Amoris laetitia (250) a proposito dell’accoglienza pastorale delle persone con tendenza omoses- suale.
Ne è uscita una polifonia di pareri su un tema complesso e ancora scarsamente indagato, adesso confluita nel libro “Chiesa e omosessualità. Un’inchiesta alla luce del magistero di papa Francesco” (San Paolo, pagg. 206, euro 18). Dalle parole di Maurizio Faggioni, Stefano Guarinelli, Pier Davide Guenzi, Paolo Rigliano, Victor de Luna, Damiano Migliorini, Giovanni Salonia, Cristina Simonelli, Maurizio Chiodi, Lucia Vantini, Roberta Rosin, Aristide Fumagalli e Gianni Geraci emerge l’esigenza di ripensare i modi e le forme di un’accoglienza che non può ignorare l’identità e i bisogni specifici della persona.
Nelle conclusioni il gesuita padre Pino Piva ritiene «assolutamente necessaria una seria e onesta riflessione sul tema, perché da premesse antropologicamente sbagliate non seguano riflessioni teologiche, ma soprattutto atteggiamenti pa- storali e disciplinari inadeguati».
IL LIBRO: «Contributo al dibattito in corso»
Nell’intervista-prefazione al libro di Luciano Moia, “Chiesa e omosessualità”, l’arcivescovo di Bologna spiega che la pastorale, accogliendo la persona, non può prescindere dal suo orientamento.
«Nella pur ricca bibliografia su Chiesa e omosessualità mancavano contributi direttamente fruibili per l’accompagnamento pastorale. E allora, fedeli allo spirito di servizio che caratterizza il nostro lavoro, abbiamo deciso di raccogliere testimonianze competenti, sensibili, originali. Spunti non esaustivi, naturalmente, ma raccolti con l’obiettivo di offrire un contributo equilibrato e costruttivo al dibattito in corso nella Chiesa». Lo scrive nell’introduzione al libro, il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio.
“Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione»… si tratta di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita” (Papa Francesco, Amoris laetitia n. 250)