giovedì 19 maggio 2011

Una testimonianza di fede

LA CHIESA E GLI OMOSESSUALI

Testimonianza di don Michele De Paolis, fondatore di Emmaus Foggia e co-fondatore di AGeDO Foggia

(...) Sono stupito del fatto che molti uomini di chiesa (...) ignorano completamente il fenomeno dell’omosessualità, che ormai la scienza ha chiarito in modo inequivocabile: l’orientamento omosessuale non viene scelto liberamente dalla persona.
Il ragazzo o la ragazza si scoprono così: è un orientamento profondamente radicato nella personalità, che costituisce un aspetto essenziale della propria identità: non è una malattia, non è una perversione. Il ragazzo o la ragazza omosessuali possono dire a Dio: «Tu ci hai fatto così!» Le connotazioni individuali di ciascuno di noi e che provengono dalla natura, sono un fatto, non una scelta, come la statura, il colore della pelle, la forma del naso, la pigmentazione della pupilla. E anche gli impulsi sessuali: sono componenti dell’identità di ciascuno; non sono malattie, non sono peccato. Non c’entrano niente la volontà e le libere scelte della persona e quindi l’etica, il bene o il male. Anzi ogni persona deve amare e difendere la propria identità, deve valorizzare tutte le componenti del suo essere, crescere nell’amore, nell’amicizia, nel piacere di essere se stessi e raggiungere la propria maturità. Questa è la volontà di Dio, perché Dio vuole la felicità per ciascuno dei suoi figli.
Oggi l’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli omosessuali è severo, disumano e crea tanta sofferenza, affermando che l’omosessualità è peccato. Meno male che la dottrina del magistero è in evoluzione.
(…) Alcune persone di chiesa dicono: «Va bene essere omosessuali, ma non debbono avere rapporti, non possono amarsi!» È la massima ipocrisia. È come dire a una pianta che cresce: «Tu non devi fiorire, non devi dar frutto!». Questo sì, è contro natura!
Mi dà tristezza l’insensibilità e la durezza nei confronti di tanti fratelli e sorelle omosessuali. Con un’incredibile miopia, si riduce una persona ai suoi impulsi sessuali e si mette tra parentesi tutto quello che invece fa di un essere umano una “persona”: il suo pensiero, i suoi sentimenti, le sue aspirazioni, le sue speranze, i suoi sogni, la sua sete di Assoluto. Le persone omosessuali sono persone a tutto tondo. Persone! Sono figli e figlie di Dio, amati da lui, che desidera per loro solo che siano felici.
Mi dà scandalo la durezza di molti uomini di chiesa nei confronti dei genitori che scoprono l’omosessualità dei propri figli; o di quelle persone che, dopo sposate, scoprono l’omosessualità del proprio partner. Queste persone dovrebbero essere sorrette e accompagnate a superare le loro paure, i loro pregiudizi, il dramma dei loro vissuti e guidate con amore, pian piano, ad accettare con gioia la diversa identità dei propri cari. E invece dalla Chiesa sono lasciati soli.
(…) Una luce ci viene da una pagina di Franco Barbero. La stralcio da un capitolo intitolato Il Cammino di Abramo in un libro Il posto dell’altro – Le persone omosessuali nelle chiese cristiane, edito dalla Meridiana: «(...) Si punta a costruire una spiritualità cristiana della gioiosa accoglienza di sé, della gratitudine a Dio nella consapevolezza che l’amore omosessuale è un Suo dono non meno di quello eterosessuale. Una spiritualità in cui si dialoga e ci si confronta con tutti, ma si obbedisce a Dio solo. In questa spiritualità cristiana in cui campeggia per ciascuno/a la chiamata di Dio ad amare, anziché cercare nascondigli, anziché esaltare la rinuncia all’amore secondo la propria natura e negarsi con un celibato imposto o doversi far accettare con un matrimonio eterosessuale, gli omosessuali e le lesbiche stanno compiendo il grande e benedetto cammino di Abramo (...)».
Vi confesso che anch’io all’inizio avevo i miei pregiudizi. Poi ho studiato e ho capito. Successivamente ho cercato di entrare nella logica del Vangelo; ho voluto guardare le cose dalla parte di Dio. Ho capito che il Padre non esclude dal suo amore nessuno dei suoi figli e non valuta la persona in base ai suoi impulsi sessuali, che sono dotazioni di natura e non scelta volontaria.
Gesù, alla famiglia, privilegia la comunità, cioè lo stare insieme per libera scelta, per amore. Dove c’è amore, lì c’è Dio. Se tra due persone c’è vero amore (fatto non solo di eros, ma anche di filìa, e soprattutto di agape), cioè dono reciproco di sé, per cui si ricercano l’un l’altro, si vanno conoscendo gradualmente con stupore, si sostengono, si perdonano, si impegnano in un comune progetto di vita; bene, dove c’è questa qualità di amore, lì c’è Dio.
Secondo me la Chiesa dovrebbe essere «spiaggia dolcissima per tutti gli esclusi» come la definiva Tonino Bello.
Nella parabola del Buon Samaritano, narrata da Gesù, mentre il sacerdote e il levita passano oltre e non aiutano il malcapitato ferito dai briganti, che giaceva al margine della strada, lui, l’eretico, il Samaritano gli si fa prossimo, lo cura, lo carica sul suo giumento e lo porta alla locanda. Questo luogo, nel testo greco, ha un nome meraviglioso “pandochèion”, che significa letteralmente luogo che accoglie tutti: I Padri dei primi secoli vi hanno visto il simbolo della chiesa, luogo che dovrebbe accogliere tutti gli esclusi.
Mi domando: perché non lo è per gli omosessuali? Dovrebbe dimostrare una tenerezza maggiore per questi suoi figli che già vivono una situazione sociale, purtroppo ancor oggi, non facile e che non meritano di essere respinti anche da chi opera nel nome di Gesù.